Giulia Lama era una pittrice originale, invidiata dai pittori dell’epoca. Nelle sue opere sperimentava scene innovative accompagnate da effetti chiaroscurali, passando da colori forti ad altri più tenui. Dava certe cose per scontate, tanto che a volte si è rifiutata di inserire nelle sue opere i consueti attributi dell’epoca. È quanto è stato sottolineato durante l’incontro “Dal restauro all’esposizione” di martedì 5, tenutosi al Seminario Patriarcale di Venezia in occasione della mostra allestita negli spazi della Pinacoteca Manfrediniana e della Basilica della Salute “A tu per tu con Giulia Lama: una donna artista del Settecento veneziano”, dove sono presentate cinque tele da poco restaurate grazie al programma di Save Venice “Women Artists of Venice (WAV)”, iniziato da tre anni e che oggi vanta un database con 900 nomi di donne artiste del ‘700. Le opere riguardano “Vergine in preghiera” della chiesa di Santa Maria Assunta a Malamocco e i “Quattro Evangelisti” della chiesa di San Marziale (leggi qui). L’incontro, a cui era presente il delegato ai beni culturali ecclesiastici don Gianmatteo Caputo, Melissa Conn di Save Venice, il sovrintendente Fabrizio Magani e Guido Jaccarino di Unisve, che ha svolto la movimentazione delle opere, è stato un’occasione preziosa per ricostruire insieme alle restauratrici il percorso del delicato restauro.
Rivelatore è stato in particolare il restauro condotto per un anno sull’opera della “Vergine in preghiera” presente nella chiesa di Malamocco. Terminati i lavori, condotti da Claudia Vittori con la collaborazione di Barbara Bragato, Lorenzo Conti e Giulia Simbula, ne è uscita un’opera molto più luminosa con colori dell’indaco e del blu più vibranti e una spiccata sensazione di profondità, prospettiva e dinamismo scenico. Un’opera in cui Lama ha provato anche ad avvicinarsi a colori più chiari sul blu-azzurro, propri dell’arte del coetaneo e amico Piazzetta. «L’opera si presentava molto disastrata nei colori che tendevano a sbriciolarsi ed è stato necessario svolgere subito un pre-consolidmanto. Inoltre era coperta da una “fanghiglia” di polvere, guano di piccione e vernici gialle e marroni, alterate di un precedente restauro del 1922, che ne avevano alterato i pigmenti e le ridipinture, mentre il livello conservativo era in buono stato» spiega la restauratrice Claudia Vittori. Inoltre molti sono i pentimenti che gli studi sull’opera hanno messo in luce: «Primo fra tutti la testa della Vergine che è stata cambiata tre volte, e variazioni ci sono state anche alla posizione dei piedi». Nelle indagini preliminari durante i prelievi è stato poi trovato il pigmento blu della Vivianite: «Lama mischiando questo colore più economico con una lacca rossa ottenne un tono violaceo unico» spiega Vittori. La parte bassa del dipinto era la più ammalorata in quanto la tela, negli ultimi 44 cm, fu piegata probabilmente quando l’opera venne trasportata in sacrestia.
L’opera presenta un mistero ancora irrisolto: «I critici hanno a lungo dibattuto se si trattasse di una Santa in gloria o di un’Assunta». La posizione sottomessa, in ginocchio, con le mani giunte in preghiera, che poteva suggerire infatti una scena di martirio e quindi indentificare la figura in una Santa è stata presto scartata, in quanto vicino al corpo non sono stati trovati segni che rimandassero al martirio subito. Inoltre, sulla figura posta centralmente in basso all’opera, che si era ipotizzato potesse essere il carnefice della Santa rappresentata, durante il restauro sulla schiena è emersa un’ala che lo indentifica indiscutibilmente come un angelo. Resta quindi in piedi solo l’ipotesi che si tratti della Vergine. Osservando l’aspetto dolente e il modo in cui cade la veste bianca addosso a Maria, simbolo dell’Immacolata concezione, si è ipotizzato che questa sia incinta. Ecco che allora entrano in campo due ipotesi: potrebbe trattarsi di una Vergine in preghiera, magari antecedente alla nascita del Salvatore, ma altri elementi fanno pensare alla realizzazione di un’Assunta, visto che Maria è rappresentata sopra delle nuvole ed è sospinta vero il cielo da tutti gli altri personaggi presenti nell’opera. Un’Assunzione della Vergine dipinta nel 1735 dall’amico e collega Giambattista Piazzetta, oggi al Louvre di Parigi, aggiunge un nuovo tassello al dibattito, visto che la Madonna è inginocchiata e vestita di bianco proprio come quella di Malamocco. «È curioso, non abbiamo trovato segni che confermino né l’una né l’altra ipotesi e la cosa è ancora dibattuta. – commenta Melissa Conn – La studiosa Nora Gietz sta cercando nuovi indizi in tutti gli archivi della città».
Per quanto riguarda invece le opere dei Quattro Evangelisti, il restauro, seguito tra il 2022 e il 2023 da Enrica Colombini, in collaborazione con Elisa Galante e Sofia Marchesin, ha rivelato un utilizzo sorprendente del colore e dei contrasti tonali, gettando nuova luce sull’arte di questa artista. È ora chiaro che Giulia Lama prediligeva pigmenti ben più vivaci rispetto a quanto avesse creduto la critica, questione particolarmente evidente nei rossi accesi e nei blu usati per le vesti degli Evangelisti: «La Fabbriceria di San Marziale non aveva soldi per restaurare le opere che sono posizionate a 12 metri di altezza e l’ultimo intervento radicale risale al 1933. La pulizia delle opere ha messo in Luce colori vivaci dati con colpi di pennello vigoroso, in modo sicuro e vibrante» ha spiegato la restauratrice Enrica Colombini, sottolineando che Lama dava importanza al corpo umano enfatizzando la gestualità delle figure. Il restauro ha permesso di ricostruire le parti degradate dei teleri cercando di conservare il più possibile la pittura originale: «Lama ha usato il Realgar, un pigmento che con il tempo alla luce si altera irrimediabilmente. Sull’opera che ritrae San Matteo, in particolare, per molto tempo era colata acqua dagli infissi rovinandola pesantemente. Ora però, insieme agli altri dipinti, ha riacquistato la sua potenza chiaroscurale».
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