Ha fatto definitamente chiarezza sui tanti misteri e domande irrisolte. È stato presentato lunedì 25 alla Scuola Grande di San Rocco a Venezia il restauro dell’opera ”L’Annunciazione” di Tiziano, di cui ora è stata confermata la paternità del maestro cadorino. L’intervento, della durata di due anni, è stato svolto dal restauratore Giulio Bono, grazie al finanziamento del Comitato americano Save Venice, che nella Scuola sta portando avanti anche il restauro sul telero della Crocifissione di Tintoretto (leggi qui). L’Annunciazione fino al 2 giugno sarà esposta al piano terra della Scuola, così da poter essere ammirata da vicino, prima che venga ricollocata nello scalone. Il dipinto, nato come oggetto di devozione privata, così come quello “Madonna col Bambino tra i Santi Tiziano e Andrea”, recentemente restaurato a Pieve di Cadore (leggi qui), fu donato alla Scuola per volontà testamentaria del 31 ottobre 1555 del confratello Melio da Cortona. «Il telero fu la prima opera di pregio a decorare gli ambienti della Scuola, le cui pareti erano allora ornate solo con drappi. Nel rispetto delle volontà del testatore, L’Annunciazione venne inizialmente collocata nella Sala Capitolare, sopra il portale d’accesso della Sala dell’Albergo, dove si riuniva il suo organo di governo. – ricorda la direttrice dei lavori, Maria Agnese Chiari – Successivamente la tela fu spostata nello scalone in occasione del riordino della Sala Capitolare, che poi avrebbe accolto le opere di Tintoretto». Considerata per trecento anni un’opera iconica della produzione tizianesca, il dipinto dalla fine dell’800 e soprattutto nella prima parte del 900 passò in secondo piano per dubbi che gli storici dell’arte nutrivano circa l’autografia e la datazione. Molti ritenevano infatti l’opera incerta o di bottega, inoltre alcuni fissavano la datazione intorno agli anni ’20 del 500 mentre altri agli anni ’40.
Dagli esiti del restauro e dalle analisi scientifiche, riflettografiche e radiografiche è emersa infatti con chiarezza la complessa genesi del dipinto: «L’opera è stata realizzata in un periodo molto lungo. Abbozzata probabilmente negli anni ’20, è stata poi conclusa solo negli anni ’40, quando Tiziano apportò modifiche importanti rispetto alla prima impaginazione pittorica. Questa probabilmente aveva un’impostazione tradizionale di matrice ancora belliniana, che poi il maestro ammodernò alla luce delle nuove suggestioni dell’epoca» racconta il restauratore Giulio Bono. Sono proprio queste complesse fasi di elaborazione, tipiche del fare di Tiziano, che portano a escludere un intervento della bottega e a riaffermare la completa autografia dell’opera. Un restauro, quello appena eseguito, che conferma dunque il modus operandi di Tiziano, giustificando anche le perplessità precedentemente nutrite sul dipinto. Già Palma Il Giovane al tempo aveva detto a Bianchini che il maestro era solito abbozzare le opere e poi girarle verso il muro fino a quando non avrebbe avuto intenzione di riprenderle e modificarle. Un racconto che trovò evidenza nel 1915, quando Angelo Scrinzi si occupò di ricoverare l’opera durante la Prima Guerra Mondiale. Staccando il dipinto dal muro, scoprì nel retro della tela disegni e schizzi a carboncino, che pubblicò come autografi tizianeschi: «Un’evidenza – sottolinea Bono – che conferma che il dipinto è stato con il colore rivolto verso il muro dello lo studio del pittore».
Molti sono stati i pentimenti e le modifiche apportate al dipinto. «Si tratta di un’opera stratificata, la cui ultima versione risulta più articolata» spiega Bono. Tiziano modifica l’architettura: introduce le colonne sulla balaustra e intensifica il pavimento. I cambiamenti più significativi riguardano però l’angelo: «Di questo ha modificato la disposizione delle ali, ha creato una capigliatura più ariosa, svolazzante e mossa. – spiega Bono – Inoltre, è intervenuto sull’abito: la veste, inizialmente di un colore più chiaro, è stata intensificata con pennellate di lacche rosse. Se in origine l’angelo aveva entrambe le gambe scoperte, queste sono state poi coperte dalla veste e da un velo di organza, mentre ai piedi nudi sono stati aggiunti degli articolati calzari». Il dipinto nell’ultima stesura si arricchisce inoltre del leggio e dei simboli quali la pernice, la mela cotogna e il cestino da lavoro della Vergine. Per quanto riguarda la Madonna, invece, questa non ha subito molti cambiamenti: «Tiziano ne ha rivisto solo i contorni, riducendo e modificando la sagoma. I volti dell’angelo e di Maria sono stati invece rieditati con pennellate molto più libere e vibranti».
Nella revisione del dipinto Tiziano modifica la tavolozza cromatica: «Il colore diventa più scuro e maggiore è l’effetto di ombra e luce. – continua Bono – Un cambiamento estensivo attuato sul dipinto che fu frainteso dai restauratori 700 e 800eschi i quali, pensando si trattasse di qualcosa di giustapposto, cercarono di rimuovere creando abrasioni cospicue sulla superfice dipinta, cambiando i connotati dell’opera e probabilmente influendo sui giudizi della critica». Compito del restauro è stato dunque quello di conferire una godibilità di lettura del dipinto, riducendo l’impatto di queste abrasioni, ma lasciandole visibili per aiutare a leggere la genesi dell’opera. In alcuni punti infatti emergono dati sulla prima stesura del dipinto: «Si vede il colore caldo sottostante e addirittura lo strato preparatorio del disegno» continua Bono. La parte che risultava più abrasa era quella in alto a sinistra, corrispondente all’ala destra dell’angelo, comprese aree del paesaggio in secondo paino e la parte intorno alla colomba. Altro punto critico su cui intervenire è stato il manto della Vergine, in origine di un blu vicino a quello di alcune Madonne belliniane, con il tempo divenuto quasi nero a causa dell’alterazione irreversibile del pigmento blu di smalto di vetro: «Questo, legato con l’olio, tende prima ad ingrigire e poi a diventare sempre più scuro. – spiega infine il restauratore – Un’alterazione irreversibile che l’intervento, assottigliando una ridipintura antica, ha mantenuto».
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