Attraverso volti di uomini, donne, giovani e luoghi incontaminati Inuuteq Storch, unico artista presente nel Padiglione danese alla Biennale d’Arte ai Giardini, con le sue fotografie esplora temi di appartenenza che intessono una narrazione polifonica sulla sua terra natale, la Groenlandia, o Kalaallit Nunaat, come è chiamata nella lingua locale. Sulle facciate del Padiglione, infatti, la scritta “Danmark” è stata parzialmente coperta dalla scritta “Kalaallit Nunaat”, mettendo in evidenza il rapporto tra queste due realtà e le complesse vicende storiche coloniali. In “Rise of the Sunken Sun”, ovvero L’Alba del Sole Tramontato, il titolo dell’esposizione a cura di Louise Wolthers, nei racconti personali dell’esordiente groenlandese alla Biennale il passato si intreccia con il presente, esplorando temi di appartenenza, identità nazionale e decolonizzazione, in immagini che sfidano la percezione stereotipata della colonia nordatlantica danese. Il titolo allude al complesso rapporto tra la luce e il sole, un aspetto che viene ripreso dal semicerchio rosso presentato nello spazio espositivo principale. Fungendo da cuore della mostra, l’elemento scultoreo incarna l’essenza dell’Erfalasorput, la bandiera ufficiale della Groenlandia, dove il semicerchio rosso simboleggia il tramonto che si staglia sul ghiaccio.
Inuuteq Storch è principalmente un narratore che si esprime con intimità e schiettezza comunicativa. Nato nel 1989, è cresciuto a Sisimiut, la seconda città più grande di Kalaallit Nunaat, dove tutt’ora risiede e lavora, dopo aver conseguito gli studi in particolare presso Fatamorgana, la Scuola danese di arte fotografica di Copenaghen e all’International Center of Photography di New York. La sua fotografia, prevalentemente analogica, cattura l’identità contemporanea di Kalaallit Nunaat e la vita quotidiana attraverso uno stile istantaneo e intuitivo, crudo e al tempo stesso poetico, giocoso e divertente, fugace e presente. A differenza di molti fotografi che danno priorità alla perfezione tecnica e alla sofisticatezza dell’attrezzatura fotografica, Storch si approccia alle immagini utilizzando diverse tecniche, creando fotografie sgranate, sovraesposte o addirittura danneggiate, che consentono di aggiungere un significato altro rispetto a quello già manifestato dal soggetto. Per creare le sue strutture narrative, Storch utilizza il formato del libro fotografico, mezzo di distribuzione accessibile e valida alternativa al mondo delle gallerie e dei musei. Coinvolgendo così un pubblico diversificato, propone istantanee di vita attuale quotidiana e scatti storici tratti dagli archivi familiari. La narrazione della cultura del suo Paese risulta così inedita, mettendo in luce il tema dell’identità e dell’impegno decoloniale e la complessa storia del rapporto tra Kalaallit Nunaat e la Danimarca.
All’interno della mostra, le fotografie di Inuuteq Storch sono accompagnate sia da una narrazione personale, sia da una colonna sonora composta dalla musica e da altri suoni che hanno caratterizzato la sua vita e le sue esperienze quotidiane. La maggior parte delle fotografie delle serie “A Casa Ci Sentiamo Appartenere” e “I Guardiani dell’Oceano” sono state scattate nella sua città natale, in una sorta di autoritratto della sua comunità. Le sue foto emergono come risposta diretta alle rappresentazioni esotizzanti e stereotipate di Kalaallit Nunaat e dei suoi abitanti da parte di estranei, sottolineando il valore di ciò che è locale. Attraverso il suo obiettivo, Storch cerca di presentare alcuni scorci dei suoi immediati dintorni che risultano non solo sorprendenti, ma peculiari e più sfumati. Mette inoltre in risalto le qualità tattili delle diverse superfici e dei materiali: vestiti, neve, pelle, capelli, cibo, metallo e porcellana. Alcune immagini si avvicinano così tanto che i volti e i soggetti non sono più messi a fuoco, anche se resta la sensazione di presenza corporale. La maggior parte delle fotografie ritraggono gli amici più stretti impegnati nelle loro attività e ritratti in feste locali, mentre altre volte compaiono immagini più strane inquietanti e difficili da decifrare. Infine, diverse immagini degli interni rivelano dettagli personali, culturali e storici. Senza risultare né esplicite né didattiche, le foto di Storch sottolineano la natura ibrida dell’identità contemporanea che si intreccia con influenze provenienti da tempi e luoghi diversi. Molti amici dell’artista sono espressione di un rapporto consapevolmente decoloniale nei confronti della Danimarca, altri come Storch stesso cercano invece ispirazione dalla cultura locale, Inuit o persino globale.
Tuttavia, per il suo ultimo progetto, “Presto, Sarà Finita l’Estate”, Storch si avventura in Qaanaaq, la città più a nord della Groenlandia, ultimo luogo ad essere stato colonizzato e in cui si riunirono scienziati per indagare e documentare quella che consideravano la cultura autentica Inuit. Le foto all’aperto di Storch documentano, in un dialogo toccante intriso di scambio intergenerazionale, la lotta in corso per preservare le pratiche di caccia e pesca in un clima in continuo cambiamento, dove incombe lo spettro del cambiamento climatico. In “Il Negromante”, invece, Storch evoca un’atmosfera quasi ultraterrena e spirituale. Le immagini manipolate scattate durante la pandemia di Covid-19 in Danimarca, Canada, Svezia e Groenlandia, sembrano come iscritte nell’oscurità piuttosto che nella luce e vi prevalgono desolazione e abbandono. Stretto però è il suo legame con il passato. L’artista infatti nella serie “Mirrored” realizza una giustapposizione tra le sue immagini contemporanee di “I Guardiani dell’Oceano” e quelle del primo fotografo professionista kalaaleq, John Møller. Le fotografie di Møller offrono uno sguardo accattivante sulla società Kalaallit durante l’era coloniale, in un momento storico in cui era caratterizzata da profonde trasformazioni. Le fotografie selezionate Storch mostrano ritratti di danesi: amministratori coloniali, membri di spedizioni, scienziati e filosofi. Infine, Storch in “Tramonti di Momenti Dimenticati” integra anche la fotografia storica, con foto e ritratti amatoriali provenienti dal suo archivio di famiglia. Qui l’artista sottolinea come nella fotografia amatoriale e vernacolare trovino voce le esperienze delle popolazioni emarginate, trascurate o intenzionalmente messe a tacere dalla storiografia tradizionale.
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