I suoi racconti sono fatti con un unico scopo: dare voce a tutti gli uomini, donne e bambini che non ce l’hanno. Ibrahima Lo con il libro “Pane e acqua. Dal Senegal all’Italia passando per la Libia” uscito nel 2021, in cui ha raccontato il suo viaggio come migrante verso l’Italia alla ricerca di un mondo migliore, aveva ispirato il film “Io Capitano” di Matteo Garrone. Ora 24enne, assistente parlamentare europeo del deputato e attivista Mimmo Lucano, è tornato con un nuovo racconto dal titolo “La mia voce. Dalle rive dell’Africa alle strade d’Europa”, edito da Villaggio Maori Edizioni e presentato martedì 24 nell’incontro “Writers in Conversation” all’Università Ca’ Foscari di Venezia, in dialogo con la cafoscarina e attivista per Mediterranea Barbara Del Mercato.Con la consapevolezza di essere stato uno dei pochi fortunati, Ibrahima in Italia ha affrontato discriminazioni ma ha trovato anche tanta accoglienza, e nel suo libro racconta proprio di questo: della passione per l’attivismo e della gioia di poter contare sugli altri. «Ho iniziato a scrivere questo libro proprio durante il viaggio di ritorno in Senegal dopo tanti anni, riflettendo su cosa voglia dire avere e perdere i diritti – esordisce Ibrahima Lo – Quando sono arrivato in Senegal ho visto che il mondo lì è peggiorato. I miei amici, lasciati quando avevo 16 anni, mi chiedevano informazioni su come intraprendere il viaggio che ho fatto». Lui ha così raccontato loro tutta la fatica fatta nell’attraversare il deserto del Sahara, i lager in Libia, dove ha subito la violenza ogni giorno, e nell’affrontare il naufragio in mare: «Li ho avvertiti che il viaggio è pericoloso e si può morire, invitandoli a non intraprenderlo. – e continua – Loro mi ascoltavano ma continuavano a dirmi che in Senegal rischiano di finire in strada e morire ogni giorno. Molti di loro non mi hanno ascoltato e sono morti in mare».
E proprio in quel Mar Mediterraneo, che continua a fagocitare anime, Ibrahima Lo è tornato come attivista su una nave per aiutare altre vite. «Quando mi hanno chiamato per tornare su una nave non è stato un giorno facile – afferma – Ho ripensato a quando nel 2017 a 16 anni venni salvato. Mi hanno tirato fuori dall’acqua dove non vedevo nulla e dove non c’erano radici a cui aggrapparsi. Da quel momento però ho sempre desiderato tornare in mare per salvare altri che si trovano nella stessa situazione in cui mi trovai io e anche per ringraziare chi mi ha salvato. Tornare dove avevo perso tanti amici e ricordare quello che ho vissuto mi ha fatto piangere. – confessa – Ho sperato il viaggio finisse presto, ma poi ho sentito l’urlo che le donne africane fanno quando c’è una bella notizia e ho superato il momento. Abbiamo salvato anche un ragazzo scappato dalle bombe della Siria: aveva la stessa età di quando hanno salvato me e mi ha raccontato le stesse cose che avevo vissuto io. Allora ho capito che bisogna continuare a lavorare perché ci sono ancora tanti uomini, donne e bambini che muoiono in mare ogni giorno».
Nel suo libro Ibrahima Lo ritrova i volti di tutte le persone che ha perduto lungo il suo cammino, storie toccanti come quella di Fara, nome fittizio usato per raccontare di una ragazza della Nuova Guinea che ha incontrato in Niger: «Con lei ho fatto un lungo viaggio fino in Libia, attraverso il deserto. – ricorda – Era una ragazza dolce e bella con cui parlavo come se fosse mia sorella. Lei ha subito molte violenze, il viaggio per le donne è un inferno doppio. – dice – I mafiosi libici la prendevano e portavano via con la forza, costringendola a prostituirsi per pagare il viaggio verso l’Europa. Episodi di crudeltà a cui ho assistito di persona. – e continua – Lei non ha mai smesso di sperare in un futuro migliore e in un lavoro dignitoso. Diceva che se avesse potuto si sarebbe tolta la vita, ma poi la voglia di farcela era più forte». Dopo la prigionia in Libia Ibrahima Lo ha proseguito il viaggio e di lei non ha saputo più niente, ma non l’ha mai dimenticata: «Non so se è viva, se è finita in mare o è stata uccisa nei lager in Libia. Ho fatto molta fatica a raccontare la sua storia, ci teneva alla sua dignità e ricordo i suoi pianti». Tanti altri sono gli amici finiti invece in mare come Bara e Moussa, i cui genitori ogni giorno aspettano ancora il ritorno: «Ma loro non torneranno mai più» dice, ricordando come il Mar Mediterraneo è diventato una tomba a cielo aperto.
Nel libro parla anche dei ragazzi che restano in Africa per cambiare il loro Paese: «Ci sono due afriche, una che parte e una che resta, fatta di giovani che ogni giorno escono a manifestare sapendo di poter morire, e che se vengono arrestati subiscono condizioni peggiori di quelle dei lager. – e continua – Il governo senegalese in due anni ha ucciso 80 persone e ne ha messe in carcere 2500. I migranti legali sono coloro che hanno la possibilità di pagare le ambasciate europee, che per emettere il visto richiedono tantissimi soldi: solo per aver l’appuntamento chiedono 400 euro. – spiega Ibrahima Lo – Un fatto, questo, che con gli amici attivisti senegalesi abbiamo già denunciato». Poi parla del nuovo governo: «Bassirou Diomaye Faye sta camminando verso un’altra Africa. Sta togliendo gli accordi che colpivano il Paese come quelli sull’oro e sul pesce, che ha portato più di 600 pescatori alla morte. – e continua lo scrittore – Se prima gli aerei francesi venivano in Senegal per prendere il petrolio, noi ora siamo uno dei Paesi che lo produce. I giovani stanno lottando perché l’Africa venga decolonizzata e tenga la ricchezza nelle sue mani, come hanno fatto gli Emirati Arabi». Ibrahima, che sogna di diventare giornalista, vuole dare voce anche a tutto questo: «Insieme con Mimmo Lucano ora posso portare quello che ho vissuto e sensibilizzare sulla guerra. Sono qui per cercare di cambiare le cose». Già i primi risultati li vede nelle scuole quando incontra i ragazzi: «Ho imparato che i giovani hanno paura perché il razzismo gli è stato insegnato a casa e dai tg. Per ogni africano che picchia o spaccia però ce n’è un altro che lavora, va a scuola e fa il bene per il Paese. – e conclude – Dopo aver raccontato che ho evitato di rubare e spacciare in nome dei miei sogni, un ragazzo mi ha detto: “Quando torno a casa dico ai miei genitori che tutto quello che mi hanno raccontato non è vero”. Credo nell’interazione con i giovani, a differenza di quella con gli adulti, e sono sempre felice di condividere con loro la mia storia».
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