«Ulisse viveva il presente, per questo era un eroe». È così che lo scrittore ed insegnante D’Avenia lo scorso 20 ottobre al Teatro Malibran a Venezia, in occasione del Festival delle Idee, nel racconto teatrale “Naufragare è salvezza: la nostra Odissea quotidiana”, ha tratteggiato la figura dell’eroe Ulisse che narra nel suo ultimo libro “Resisti, cuore. L’Odissea e l’arte di essere mortali”, edito da Mondadori. Il ritorno a Itaca di Ulisse comincia con un naufragio. Eppure proprio quel mare senza approdo permetterà all’eroe di trovare se stesso prima che la sua isola. Così anche oggi gli uomini, persi nel quotidiano mare di guai, si sentono spesso naufraghi senza meta, ma se proprio questa incertezza fosse la rotta? È partendo da questa domanda che d’Avenia ha guidato il pubblico in un percorso che mostra come la figura di Ulisse sia ancora estremamente contemporanea e di grande insegnamento al giorno d’oggi, traendo spunti e riflessioni sul modo di affrontare la scuola e la vita di tutti i giorni.
L’Odissea inizia con Omero, poeta al servizio delle persone, che chiede alle Muse di raccontagli delle storie, perché è attraverso queste infatti che si scopre il modo di stare al mondo degli uomini. Poco cambia infatti rispetto alla formula del “C’era una volta”, che permette di dire qual è il motivo per cui si esiste, una sola volta. «Noi oggi guardiamo le serie tv e leggiamo l’oroscopo per sapere se vale la pena esserci. “C’era una volta” è una grande promessa di senso in una vita – spiega D’Avenia – Quel “ci” colloca nello spazio qualcuno che ancora deve comparire nella scena, mentre “una volta” lo colloca nel tempo, sottolineandone l’irrepetibilità. – e continua – In mezzo, il verbo essere all’imperfetto si riferisce invece alle azioni che cominciano nel passato e hanno bisogno di compiersi. È un imperfetto che cerca perfezione» dice, sottolineando che l’uomo desidera sapere come va a finire perché ha paura di vivere e, di conseguenza, di morire. «Non possiamo sapere come moriremo, a differenza di Ulisse che ha questo privilegio». E offre una chiave di lettura differente rispetto al “Vissero felici e contenti”: «Pensiamo tutti si riferisca a quello che succede dopo la fine della storia e che vorremmo sapere, ma in realtà si riferisce a quello che è successo durante la storia, come a dire “hanno vissuto felici e contenti”. “Vissero” infatti è un perfetto, perché quell’azione che era iniziata con il verbo imperfetto ha trovato compimento».
Dai Greci ad oggi cambia la narrazione circa la morte: «Oggi per noi la morte è qualcosa da scongiurare, i greci invece l’avevano davanti agli occhi tutti i giorni e si chiedevano cosa resterà per sempre nel contino fluire delle cose» dice il professore, sottolineando che per lottare contro la morte basta essere animali. «Noi lottiamo per mangiare e dormire, ma questo ci serve a sopravvivere. L’umano invece ha bisogno di più, deve vivere sopra». E cita la Pala dell’Assunta di Tiziano nella Basilica dei Frari: <Gli apostoli tendono le mani verso il l’alto e uno in particolare tocca il cielo con un dito. È una potentissima rappresentazione degli uomini che chiedono come si fa a fare della terra un cielo» spiega, affascinato dall’opera. La vita è un affanno continuo che chiede di essere vissuta, ed essere vivi richiede essere eroi: «In greco originalmente eroe vuol dire uomo, non persona straordinaria. Successivamente questa parola si è legata al concetto di coraggio. Visto che per vivere ci vuole coraggio, la vita è dunque un’Odissea. – e continua – Ulisse soffre e lotta per salvarsi e garantire il ritorno ai suoi compagni, ma non ci riesce. È una storia in cui l’eroe non ce la fa. Oggi invece l’eroe è un perfetto che non è mai stato imperfetto».
«Ulisse è l’uomo che sa piangere e che nelle avversità parla con il suo cuore, che urla come una cagna per difendere la vita, e gli chiede di resistere». L’Odissea insegna allora l’arte di essere mortali e narra che vivere felici e contenti significa scegliere di morire: «Per noi la felicità deve sempre venire, per i greci invece era nel passato e la vita è un viaggio di solo ritorno, perché questo è il luogo della salvezza per vivere felici e contenti: durante, non dopo. – e continua – Ulisse insegna che il lato opposto della morte non è la vita, ma la nascita. Nasciamo infatti una prima volta per procura e una seconda per scelta quando impariamo a respirare da soli nel cammino della vita». E qui non manca per il professore 2.0 anche una riflessione sulla scuola: «Scuola significava tempo libero. Noi invece abbiamo creato il tempo schiavo e abbiamo l’ansia. – dice – I genitori molte volte si aspettano che i figli entrino nelle forme necessarie precostituite per avere una vita riuscita. Abbiamo sostituito i destini con le carriere. – continua, spiegando che le parole non mentono mai – Carriera vuol dire correre, ecco perché abbiamo l’ansia. Destino invece è qualcosa che viene da lontano e c’è già. A scuola dobbiamo insegnare ai ragazzi il senso dell’irripetibilità per andarsi a prendere nel mondo quello che gli serve per creare la forma che vogliono» afferma, sentenziando contro la Dad, nata per continuare a dare nozioni in un momento in cui i ragazzi si sentivano persi. «Noi insegnanti – aggiunge – dobbiamo dire ai ragazzi che è normale sentirsi sbagliati, perché crescere significa provare la nostra resistenza. Guardiamo Ulisse, a cui piace il presente: lui è radicato nella storia e sceglie di essere mortale» conclude, sottolineando che proprio per questo oggi lo ricordiamo come eroe ed è divenuto immortale.
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