Un uomo rappresentato in una sorta di manichino a mezzo busto su cui sembra essersi rovesciata una tanica di petrolio accoglie i visitatori nella mostra “Paradise” di Marco Agostinelli (Panicale, 1961), allestita nella sede di Palazzetto Tito della Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia, a cura della storica dell’arte Roberta Semeraro. “L’ultimo uomo”, questo il titolo dell’opera, ha in mano una rosa nera e porge le spalle ai visitatori. Lui indica il punto di non ritorno di un lungo cammino cominciato nel secolo scorso, quello che conduce alla distruzione, e sparge indizi sul disastro ecologico e antropologico. Il volta faccia verso lo spettatore sta allora a significare quello che l’uomo da centinaia di anni ormai ha compiuto nei confronti di madre natura. Una mostra, quella di Agostinelli, in cui le immagini si stratificano. E questo è percepibile fin dall’accesso al piano terra, dove un video propone le immagini traslate di un’anfora, base di partenza oramai irriconoscibile, per ricreare altre suggestioni date da colori e forme, creando un tunnel dove virtuale e primitivo si incontrano e che, con le musiche di Emanuel Pimenta, conduce al primo piano verso un mondo distopico e ancestrale, dove appunto si trova l’ultimo uomo.
La mostra, che in un percorso catartico nella brutalità del presente invita a costruirsi un proprio paradiso, riassume vent’anni di carriera del poliedrico regista e artista visivo riconosciuto internazionalmente, che dal 2007 vive e lavora in laguna. La carriera artistica di Agostinelli prese il via nel 2003, quando si presentò al pubblico alla Rocca Paolina di Perugia con la mostra monografica “Il Fantasma del digitale”, che gli valse il riconoscimento di antesignano dei linguaggi tecnologici dell’arte: progetto di cui in mostra sono esposti alcuni frame su supporti riflettenti che diventano quadri digitali. I lavori degli ultimi tre anni, in continuo dialogo con quelli precedenti, racchiudono in mostra la somma di tutto il percorso compiuto nella carriera di Agostinelli tra opere digitali e sculture. <Un artista che stratifica e rimescola immagini e contenuti del suo archivio di memoria in altre forme e rimandi continui> spiega la curatrice.
Nella prima sala, quella centrale in mostra che racchiude il lavoro di Agostinelli degli ultimi anni, vicino all’Ultimo uomo compaiono poi opere di nature morte, o meglio doppiamente morte, perché realizzate con fiori e foglie secche ricoperte di colore: <Il colore cade su tutto come per purificarle dall’orrendo crimine commesso contro madre natura> continua la curatrice. Al centro della sala l’installazione “Cuore nel cuore” rappresenta le rovine del contemporaneo, natura rinsecchita e città abbandonate: un disastro che però è sormontato da una navicella dorata che si eleva, segno di speranza. Un’altra opera, realizzata dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, inoltre, rappresenta tombe e reperti della contemporaneità. L’Ultimo uomo è circondato poi da oggetti enigmatici che si presentano sotto forme e colori mai visti, compresa la grande opera “Difesa della natura” che rielabora immagini dei documentari che Agostinelli aveva realizzato come filmmaker per Joseph Beuys. In mostra infatti i riferimenti letterari principali sono proprio Beuys e Benjiamin Labatut. Le opere sono quasi tutte composte da materiali di riciclo, come se fossero reperti archeologici dell’era che stiamo vivendo. Così appare anche “Televisioncross”, il vecchio computer cyberpunk ora prigioniero della sua rete di tante informazioni. Quest’ultima opera, che sancisce il passaggio dal digitale alla materia, è molto cara all’artista anche per un aneddoto che la riguarda: durante l’Acqua Granda del 2019 la scultura era infarti stata portata via dalla marea per poi essere ritrovata subito dopo. Fatto questo che conferisce un’aura ancora più potente all’opera che, ora intrisa di acqua salmastra, vede ancora più in corto circuito quella rete di informazioni che sembrava perfetta.
In mostra anche i disegni della “New Generation” e la grande opera “Birdman”, dove Venezia e la laguna assurgono a simboli di resilienza. Presenti inoltre i lavori digitali, con le parole di Solidea Ruggiero, esposti alla Biennale curata da Sgarbi nel 2011. Non manca in esposizione anche la scultura “E fu necessario prima piangere”, che nasce dall’idea di un precedente video, realizzata in vetro da Signoretto e dedicata alla sofferenza del popolo armeno, dove delle anfore si trasformano in lacrime. <L’arte per me deve combattere tutta la fragilità della nostra esistenza presente. – dice Agostinelli – Non c’è altro modo di essere artisti contemporanei che essere qui e ora, con una denuncia totale a questo modo di esistere che abbiamo masochisticamente costruito>. La mostra è visitabile fino al 22 ottobre, dal mercoledì alla domenica, con orario 12.30 -17.30.
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